Coloro che hanno avuto il piacere e la fortuna di vedere Bepe Pastrello all’opera, descrivono le sue performance come un momento che aveva quasi dell’incredibile, durante le quali degli esseri inanimati di cartapesta, legno e stoffa prendono vita e iniziano ad agire e a dialogare come fossero dotati di un’anima e di una propria capacità di intendere e volere. Sicuramente il realismo e la pienezza scenica del teatrino di Pastrello deriva in buona parte dalla sue straordinarie capacità vocali: il burattinaio castellano era in grado di modificare la propria voce, il timbro e l’intonazione, a seconda dei personaggi che animava, creando un vero e proprio concerto. Ma fondamentali erano anche le capacità motorie dei suoi burattini.
La mobilità e la grazia che caratterizzano i burattini di Pastrello sono date anche dal modo in cui vengono animati.
Nella sua tipica pesa l’indice entra nella testa del fantoccio, il pollice in una manica e il medio nell’altra; questo rende il burattino mobilissimo, perché lascia alle dita tutta la loro agilità. Pastrello, che era un abile artigiano e un profondo conoscitore dell’arte dei burattini, ha costruito la struttura interna dei suoi burattini adattandola a questa presa. Le mani di cartapesta, prolungate dal polso, sono fissate a coni di cartone lunghi circa 10 centimetri, nei quali vengono infilati il pollice e il medio. I coni sono stretti alla base da un elastico, così che le dita del burattinaio diventino un tutt’uno con le mani del burattino.
Tra l’uomo e il burattino non c’è la distanza denunciata dai fili della marionetta. In Pastrello il burattino è diventato un tutt’uno con la sua mano ed egli trasmette al fantoccio una vita più diretta, più intima: il minimo movimento dei polsi, delle dita, diviene un gesto preciso; dà mille sfumature al carattere e alla espressione del burattino.
Per maggiori approfondimenti si veda Burattinai e marionettisti a Castelfranco e nella Marca Trevigiana, di Danila Dal Pos (Corbo e Fiore Editori).